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La presente tavola è stata realizzata e presentata in occasione dell’incontro “QUALE PRG PER QUALE PALERMO” organizzato dall’Istituto Gramsci Palermo, dal Forum delle Associazioni Palermo e Legambiente e tenutosi nei giorni 13 e 14 marzo 2014 presso la Sala Terrasi della Camera di Commercio di Palermo.
La tavola è stata realizzata dalla prof. arch. Rosanna Pirajno e dall’arch. Arturo Flaibani della Fondazione Salvare Palermo Onlus, e dagli architetti Toti Careca, Massimiliano Giudice e Benedetto Prestifilippo dell’Associazione URBRAIN. Per la realizzazione della tavola fondamentali sono stati i contributi esterni (PSO_Trieste, Legambiente Sicilia, Palermo Indignata, M.E. Madonia e G. Favilla, Verso la Favorità e R. Giamportone) attraverso cui, in soli quattro giorni, è stata redatta una carta della città di Palermo (CRITICAL MAPS) con la localizzazione di quasi 500 “luoghi” (per buona parte intere unità edilizie, ma anche giardini, ville etc) non utilizzati, o in generale mal usati.
L’elaborato, oltre a rappresentare una minima parte (seppur già impressionante) degli spazi e dei luoghi mal usati della città di Palermo, prova a sintetizzare il processo che l’Associazione URBRAIN (con l’approvazione ed il contributo di varie associazioni, tra le quali: AvoLab– Associazione di Economia Civile, CNA Palermo, Confesercenti Provinciale di Palermo, Federabitazioni-Confcooperative, Fondazione Salvare Palermo Onlus, Legambiente Sicilia, PUSH), attraverso la collaborazione scientifica di PSO_Trieste (Progetto Spazi Opportunità_Trieste), ha avviato ed intende sviluppare per la città di Palermo. Processo imprescindibile per qualsivoglia previsione urbanistica e nuovo Piano.
Nel testo La Macchia Urbana, che segue, è spiegata una modalità di sviluppo del predetto processo: PSO_PA (Progetto Spazi Opportunità_Palermo).
La macchia urbana
(estratto dal Progetto Spazi/Opportunità_ Palermo, promosso da URBRAIN)
Le disuguaglianze sociali sono uno dei più rilevanti aspetti della “nuova questione urbana” e (…) questa è una causa non secondaria della crisi che oggi attraversano le principali economie del pianeta (*).
E’ noto come nelle città si manifesti in modo sempre più estremo l’aumento progressivo delle disuguaglianze sociali.
Gli economisti valutano le disuguaglianze a partire dalla misura delle differenze nei redditi, per giungere a rilevare le differenze interpersonali nell’ammontare di beni/servizi privati o “di mercato” di cui una società dispone. A ciò viene sommata anche la qualità/quantità dei beni/servizi pubblici poiché, sotto una certa soglia di reddito, alcuni tipi di beni e servizi possono essere “consumati” solo se disponibili come pubblici.
Ciò che l’approccio economicista però non coglie è la reale disponibilità dei beni/servizi nello spazio di pertinenza di ogni individuo, vale a dire nello spazio che ad ognuno è accessibile di diritto e di fatto e in un intervallo di tempo ragionevole.
In altri termini, le disuguaglianze sono determinate anche dall’iniqua distribuzione interpersonale di ciò che può essere definito capitale spaziale. Tale distribuzione è una componente strutturale delle città ed ha un’importanza decisiva nel determinarne le prestazioni. Il capitale spaziale che si riduce genera città che distinguono, separano, emarginano, escludono. Città progressivamente meno porose, nelle quali le differenze di reddito tra gli individui si sommano alle differenze nel loro grado di disponibilità di capitale spaziale (e di conseguenza relazionale). Questi due livelli interagiscono e si cumulano, moltiplicando le disuguaglianze sociali. Non solo: il peggioramento delle condizioni di vita della fascia più povera (e larga) di una comunità urbana tende ad annullare ogni progetto di manutenzione del patrimonio immobiliare della città intera, facendo degenerare l’ambiente e la società urbana nel suo complesso.
La città non è un sistema dotato di infinita resilienza. Quando la base economica si frantuma (…) la città diventa inutilizzabile (…). Essa potrebbe non essere più in grado di assicurare la funzione di luogo della dialettica tra ricchi e poveri: diventa la città dei poveri e nient’altro. (*)
Proprio tale diffusione dell’abbandono urbano richiede un’innovazione rispetto ai modelli di rigenerazione incentrati sulle poche grandi occasioni della grande proprietà e grande finanza, pubblica o privata. Tuttavia, nonostante i costanti richiami della retorica politica e accademica sull’urgenza del riuso urbano e architettonico, l’Italia sconta una condizione di arretratezza soprattutto a livello normativo e nella concezione di regolamenti municipali in grado di riconoscere (prima) e valorizzare (poi) tale risorsa.
Oggi l’abbandono e il sottoutilizzo di edifici o intere aree urbane rappresenta per la collettività un costo non più sostenibile in termini ambientali, economici e sociali. Al contempo, se tale patrimonio (e la sua distribuzione nello spazio urbano) viene riconosciuto come potenziale capitale spaziale, può rappresentare un’enorme risorsa per la rigenerazione urbana, sociale, economica.
In molte città, non solo italiane, un insieme eterogeneo di cittadini attivi, professionisti, gruppi di ricerca, associazioni, start-up, collettivi indipendenti, sta lavorando da alcuni anni sull’innovazione dei processi di conoscenza e riattivazione dell’immenso patrimonio di edifici ed aree in abbandono.
La metodologia è quella della conoscenza condivisa, degli open data, del crowdsourcing.
Lo scopo è quello di sperimentare nuovi meccanismi di incontro tra la crescente domanda di spazi e servizi, da un lato, e l’offerta in termini di risorse spaziali, finanziarie e di competenze, dall’altro, in grado di innescare processi di rigenerazione urbana più complessiva e a lungo termine.
Gli strumenti comuni sono la mappatura e la catalogazione online, indispensabili per censire il più evidente come il più minuto patrimonio immobiliare, che tradizionalmente sfugge al tradizionale approccio statistico dell’urbanistica istituzionale.
Inoltre, data la generale carenza di risorse finanziarie pubbliche a livello locale, un ulteriore programma di lavoro è quello dell’ individuazione al di fuori delle casse delle amministrazioni locali le risorse finanziarie per sostenere, in particolare, la fase iniziale del riuso, ovvero, l’onerosa manutenzione straordinaria degli immobili abbandonati. I fondi strutturali europei, le fondazioni bancarie e il crowdfunding civico sono alcuni dei canali presi in considerazione ed utilizzati in diverse occasioni. I costi di gestione e manutenzione ordinaria degli spazi, invece, sono riservati alla capacità e responsabilità della cittadinanza o dell’imprenditoria (profit o no-profit), purché con il vincolo di perseguire, oltre alla sostenibilità economica delle iniziative, anche la diffusione dei benefici fra le comunità locali.
(*) La città dei ricchi e la città dei poveri – Bernardo Secchi – 2013